exit! Krise und Kritik der Warengesellschaft Nr. 18 - Indice ed Editoriale

Indice

  • Tomasz Konicz, La fine dell’Occidente nella crisi del coronavirus

  • Fabio Pitta, La crescita e la crisi dell’economia brasiliana nel XXI secolo come crisi della società del lavoro: bolla delle commodities, capitale fittizio e la critica del valore/dissociazione

  • Thomas Meyer, Alternative al capitalismo – Sotto esame: il movimento della post-crescita e dei beni comuni e la questione della «sintesi sociale»

  • Thomas Koch, Sull’attualità di «Semaforo verde per il caos della crisi» di Robert Kurz

  • Andreas Urban, Parificazione, donne al vertice e crisi della mascolinità: aspetti simbolico-culturali dell’imbarbarimento del patriarcato

Editoriale

Nell’«anno del coronavirus» 2020 la crisi ha ulteriormente inasprito il suo corso. Il coronavirus ha colpito nel bel mezzo della crisi del capitalismo. Gli effetti sono stati particolarmente drammatici sui sistemi sanitari al collasso a seguito dei tagli finanziari e del processo di aziendalizzazione ma ancor più nelle regioni colpite dalla crisi, in cui le persone sono alla mercé, senza protezione alcuna, sia del virus che delle misure messe in atto per la «guerra alla pandemia». Per giunta il coronavirus non è certo un fulmine a ciel sereno ma è collegato al dominio capitalistico sulla natura. Per quanto riguarda la causa della pandemia si tratta assai probabilmente di una zoonosi, ossia di un’infezione che si trasmette dagli animali all’uomo. Mano a mano che la crisi del capitalismo avanza, diviene sempre più difficile – ad onta di ogni «retorica ecologista» – difendere la natura e, con essa, gli animali dal processo di valorizzazione e quindi dalla distruzione operata dal capitale. Con la progressiva desostanzializzazione del capitale si intensifica ancor più l’impulso a sottomettere i fondamenti naturali della vita alla valorizzazione. Produzione di carne, traffico di animali selvatici, estinzione di specie, distruzione delle foreste pluviali etc. incoraggiano la trasmissione dei virus. Alla diffusione pensano le vie globali del commercio e del turismo.

Nei centri occidentali il virus colpisce le democrazie che non hanno lasciato nulla di intentato per aiutare un’accumulazione di capitale in crisi a rimettersi in moto, fronteggiando le ripercussioni sociali della crisi, sotto forma di «materiale umano superfluo» per la valorizzazione del capitale – impersonato, oltre che dagli individui socialmente declassati, soprattutto dai migranti – con provvedimenti autoritari e repressivi, fino allo stato di emergenza democraticamente legittimato. In questo senso le misure contro il virus coincidono con l’oscillazione della società democratico-capitalistica dal polo liberale e quello autoritario.

Peraltro le misure dovute al virus – al netto delle critiche giustificate su taluni singoli punti (parziale incoerenza delle misure, minimizzazione dei «danni collaterali» etc.)1 – si diversificano comunque dagli abituali «modelli di reazione» autoritari, sia per il fatto che il virus non è un fantasma ma una minacciosa realtà, sia perché esse sono dirette – invertendo una tendenza – a proteggere individui e gruppi a rischio che, in quanto malati ed anziani, non fanno (più) parte del capitale umano valorizzabile. Questo non significa certo però che i governi siano stati repentinamente ispirati da una luce umanitaria ma ha a che fare piuttosto col fatto che la capacità di funzionamento del sistema deve essere mantenuta – nel secondo lockdown col mantenimento dei bambini negli asili e nelle scuole – grazie al fatto che il lavoro e il consumo possano e debbano continuare mentre le restrizioni negli ambiti privati, come la ristorazione, le attività legate agli eventi e alla cultura, sono destinate a frenare il virus e a proteggere dal sovraccarico il sistema sanitario (laddove le possibilità del sistema sanitario «orientato alla competitività» sono apparentemente considerate come «costanti naturali»).

Accade così che il coronavirus fornisca l’occasione per il consolidamento di determinate tendenze. Questo concerne, ad esempio, la cosiddetta digitalizzazione, la quale, stando alle promesse dei suoi propagandisti ed ideologi, sarebbe la soluzione di tutti i problemi. La denuncia del fallimento dell’istruzione, specialmente nel caso dei bambini socialmente svantaggiati, si presta come prova della particolare «urgenza» della digitalizzazione. Adesso la necessità viene resa, a maggior ragione, virtù. Soprattutto per il periodo successivo al virus l’inasprimento dello stato di emergenza può già essere [eingeubt]. Lo si piò vedere anche nella politica sanitaria autoritaria che si va profilando all’orizzonte. Essa sarà sempre più orientata a rendere la società resiliente, flessibile e resistente nei confronti di futuri rischi per la salute. È una politica di immunizzazione nei confronti delle prevedibili crisi (cambiamento climatico di matrice antropica, impoverimento sociale di massa etc.). Queste ultime verranno accettate come fatalità impossibili da scongiurare, contro cui sembrerà possibile solo l’adozione di misure difensive. Sotto il primato della resilienza preventiva tutto ciò che ha innescato il virus, e che favorirà lo scoppio di future infezioni, continuerà il suo corso nei familiari processi di crisi: dominio sulla natura, allevamento e valorizzazione degli animali, globalizzazione e mobilità per la produzione e il commercio etc. – tutto sotto l’astratta egemonia dell’irrazionale fine-in-sé capitalistico. Quello che conta è mantenerlo in vita in un modo o nell’altro, costi quel che costi – per quanto sia del tutto illusorio. Così facendo sarà possibile ricollegarsi a quanto si è imposto in buona coscienza nella crisi epidemica per instaurare uno stato di emergenza permanente: ad esempio la limitazione dei diritti costituzionali è stata giustificata con le misure di politica sanitaria. Si è governato e si continua a governare senza dibattito parlamentare, per mezzo di decreti: è giunta «l’ora dell’esecutivo»2. Allo stesso tempo va ricordato però che per il potenziamento permanente degli apparati di sicurezza mediante leggi securitarie, sorveglianza elettronica capillare (Stasi 2.0) etc. non era e non è necessaria una pandemia3. La trasformazione della «democrazia liberale» in uno Stato di polizia militante, in cui la polizia può fare ciò che vuole in virtù dell’ampliamento continuo delle sue prerogative è sia una possibilità che, allo stesso tempo, il nucleo stesso della società borghese. Per «affrontare» qualsiasi problema le persone sono già state, più e più volte, disposte a sacrificare tutto alla «sicurezza». La sicurezza, alla fin fine, è una «super-norma costituzionale», come già disse l’ex-ministro degli interni Hans-Peter Friedrich nel 2013.

È nella «gestione delle contraddizioni» che la democrazia manifesta il suo nucleo repressivo. Lo scoppio di disordini – che si riducono generalmente a tumulti sconclusionati (come a Stoccarda in giugno) – non viene inteso come un’espressione dell’irrazionalità e dell’insensatezza della «normalità» borghese. Con un atteggiamento fondamentalmente irriflessivo queste esplosioni di violenza suscitano solo indignazione. La gente si dichiara «sdegnata» e «traumatizzata». Completamente diverso è invece il giudizio sulla violenza poliziesca. Quest’ultima appare come «giustificata» e «necessaria», oltre che «proporzionata». Inoltre lo Stato, in caso di «resistenza alla forza pubblica» dovrebbe intervenire con misure drastiche4. Soprattutto laddove occorre proteggere la «proprietà privata»: è possibile allora mobilitare fino a 1.500 poliziotti per «rimuovere» circa 20 persone da una casa occupata (Berlino, Liebigstraße 34 il 9 ottobre 2020). Nel migliore dei mondi possibili il «corretto esercizio» dei diritti costituzionali consiste proprio nell’affermare l’«esistente» in maniera acconcia e perbene.

Qualsiasi dibattito sulla violenza durante le dimostrazioni e le proteste si rivela dunque totalmente insensato nel momento in cui la violenza «legittima» o legittimata della polizia viene trasfigurata a «Stato di diritto» mentre le relazioni di potere e di dominio, il razzismo, la diseguaglianza sociale, la mancanza di alloggi etc. vengono escluse dal discorso. Ad essere rimosso in questo dibattito ipocrita sulla violenza è il fatto che già nel suo «funzionamento normale» la società borghese è profondamente violenta, ad esempio nelle forme dell’esclusione sociale e del razzismo. Oppure si fa ricorso all’esternalizzazione, come quando si dichiara che il razzismo è certamente un problema negli USA mentre in Germania, in apparenza, riguarda solo «casi isolati». Altrettanto assurdo è il fatto che nel nostro paese nessuno si sia riconosciuto in Trump – l’uomo che intendeva denunciare gli antifascisti come organizzazione terroristica5 – visto che si tratta di un’opinione conforme alla dottrina dello Stato tedesco (teoria dell’estremismo, anti-antifascismo)6. L’uomo nero è sempre qualcun altro. Grottesco è l’impegno che la Repubblica federale ed i suoi organi repressivi (vi è coinvolto anche il controspionaggio militare) hanno messo in campo per acciuffare i cosiddetti «adbuster», ossia persone che ritoccano, a fini satirici, le immagini pubblicitarie7. Grazie alla furia persecutoria contro l’adbusting, cui si contrappone la scarsa volontà di sgominare le reti degli estremisti di destra in seno alla polizia e all’esercito (NSU 2.0, Hannibal, Nordkreuz etc.), è possibile constatare una volta di più dove si collochino le priorità delle «autorità di pubblica sicurezza»8.

Naturalmente anche il fatto che si adottino due pesi e due misure rientra nell’ordine delle cose: da una parte le manifestazioni della destra – come quella legata al virus alla fine di ottobre a Berlino – possono svolgersi senza troppi problemi, nonostante la violazione delle regole imposte, dall’altra le manifestazioni delle sinistra – come, ad esempio, quella di Ingelheim contro il partito neonazista Die Rechte9 – vengono represse con metodi brutali. A quanto pare vige l’adagio: «Se te la prendi con un nazista, non ti farai amico un poliziotto». Il diavolo sa perché.

Né tantomeno si tratta di «casi isolati»; il nemico è alla sinistra ed è proprio in questo modo che la polizia tratta gli antifascisti: come nemici nei confronti dei quali la logica di «legge e ordine» assume le sembianze materiali dello spray urticante e dei manganelli.

Il trattamento riservato ai rifugiati rende palese in cosa consistano, in ultima istanza, i «valori occidentali»10. Su questo punto fascisti e democratici sono tutt’uno. Apparentemente la differenza si riduce al fatto che gli onesti democratici, nascondendosi dietro ad un velo umanitario, credono di poter criticare la posizione razzista di AfD, senza che per questo si astengano dal fare, in fin dei conti, ciò che rimproverano ideologicamente all’AfD di fare. La carne per cui provano repulsione è, in realtà, la loro stessa carne. E così, alla fine, devono fare i conti con la loro ombra rimossa e incompresa. È la società borghese stessa che genera la sua presunta antitesi.

Non è che le misure di contenimento non vadano incontro a resistenze. Non sono però le obiezioni contro le loro conseguenze sociali e psicologiche o le critiche contro l’aziendalizzazione del sistema sanitario11 ad essersi dimostrate particolarmente imponenti quanto piuttosto le dimostrazioni del Querdenken o le «manifestazioni sull’igiene», basate sul radicalismo trasversale e su ideologie della cospirazione12.

Il fatto che queste dimostrazioni abbiano acquistato una risonanza piuttosto ampia si ricollega anche alla circostanza per cui il cosiddetto mainstream, il «centro moderato», si sta spostando sempre di più verso destra. Lo certificano, da un lato, discorsi razzisti (AdF, Pediga), volti ad espandere i «limiti di ciò che è può essere detto» (Gauland). Con evidente successo visto che, ad esempio, Die Zeit, nel 2018, ha discusso seriamente i pro e contro dell’opportunità di salvare i profughi. Per usare la formulazione di Kurt Lenk, «la destra è laddove si trova il centro»13. Dall’altro esiste da tempo un certo numero di pubblicisti che tematizzano la crisi (o ciò che essi definiscono tale) in maniera reazionaria. Appare così un bestseller dopo l’altro. È la giusta ricompensa per l’ignoranza di una sinistra che sempre voluto ignorare il «collasso della modernizzazione», il «limite interno», la «critica categoriale» e la teoria della crisi, rifiutando caparbiamente ogni dibattito14. Probabilmente è troppo oneroso in termini di capacità di riflessione ammettere con se stessi di aver pronunciato per anni solo scempiaggini (si rammenti, ad esempio, il pamphlet antitedesco Der Theoretiker ist der Wert15 [Il teorico è il valore]). In questa «lacuna» si infila ora ogni sorta di oscurantisti di destra con le relative e reazionarie «interpretazioni della crisi». Ad esempio, un libertario di destra, Markus Krall, le cui dichiarazioni sono addirittura farneticanti, sostiene che la Germania sia ormai ad un passo da una «dittatura eco-socialista», che potrebbe essere scongiurata solo grazie ad una «rivoluzione borghese»16. Ad accomunare questi esegeti reazionari della crisi c’è l’idea che il capitalismo potrebbe risollevarsi, ad esempio mediante una riforma del sistema monetario, magari ritornando alla copertura aurea. E così – secondo Max Otte (membro della «Werteunion», organizzatore del Festival di Neues Hambach, ospite di Ken Jebsen e fautore di una «coalizione borghese» con l’AfD)17 – l’oro sarebbe «l’ultima assicurazione contro la crisi». Ovviamente questo discorso si rivolge a chi dispone di grossi patrimoni, che teme di perdere a causa della crisi. Il ceto medio ha i brividi freddi e trasuda l’estremismo del centro.

Ma la galleria degli orrori non è ancora terminata. In quegli ambienti è di casa anche Thorsten Schulte, il Silberjunge [ragazzo d’argento], un revisionista della peggior specie (che con il suo Fremdbestimmt [Eterodiretto, N.d.T] ha lanciato un nuovo bestseller) - ovviamente ospite di Ken Jebsen - il quale, il primo agosto, parlando a Berlino di fronte alla Cancelleria federale, ha affermato quanto segue: «Non possiamo che prendere le distanze da questo regime satanico (!), che governa in questa Cancelleria federale, e io prego Iddio e Gesù Cristo, non si tratta di una misura di pubbliche relazioni, ho qui un rosario […] Gesù Cristo è al nostro fianco. E lo dico chiaramente. Oggi siete tutti testimoni dell’inizio, lo penso sul serio, dell’Apocalisse (!) […] Ed è per questo che tengo questa croce qui fuori per voi, essere satanici (!) lì dentro. Contribuiremo all’avvento dell’autodeterminazione con l’aiuto dell’amore e della via di Dio […] E faremo crollare questo sistema con la via dell’amore».

Qui il bisogno autoritario, manifestatosi già da lungo tempo in seguito alla «svolta decisionistico-autoritaria» della postmodernità18, si associa con il delirio delle ideologie della cospirazione, mescolato ad un gergo pomposo di matrice religiosa o religioso-populistica19. Questo genere di discorsi, guarniti di «pietà» missionaria, ben si adattano all’immagine complessiva di Schulte e dei suoi seguaci; alla fine i «teorici della cospirazione sono addirittura esuberanti nelle loro necessità di comunicazione e nel loro zelo di testimonianza missionaria»20.

Prende sempre più piede (anche nelle manifestazioni collegate al virus in Germania) una teoria della cospirazione particolarmente bizzarra, «Q-Anon», cui Donald Trump ha dato un ulteriore impulso. Al punto che diversi candidati alle elezioni tra le file repubblicane (si dice fossero una sessantina) hanno dichiarato la loro appartenenza a «Q» (Marjorie Taylor Greene è stata effettivamente eletta al Congresso). Secondo questo delirio cospirativo Trump starebbe ingaggiando una battaglia contro il «deep State» (null’altro che una «organizzazione di elite pedofile») impegnato a torturare e ad uccidere bambini appositamente sequestrati dentro prigioni sotterranee per produrre grazie a loro l’adenocromo, un derivato dell’adrenalina, per un «elisir di giovinezza».

Il parallelo con le leggende antisemite sugli omicidi rituali è lampante. Laddove il delirio cospirativo si manifesta, l’antisemitismo non è affatto distante, come è emerso abbondantemente nella crisi del virus: «In Inghilterra, ad esempio, una persona su cinque condivide più o meno l’idea che gli ebrei abbiano creato il virus per far collassare l’economia e avvantaggiarsi della situazione». Nelle manifestazioni tedesche si possono perfino osservare le autovittimizzazioni antisemite dei cosiddetti «anti-vaccino», che si descrivono in maniera mistificata come «gli ebrei di oggi», indossando T-shirt con la stella di David (!) e la scritta «non vaccinato» (!!)21. Va da sé quindi che gli oppositori della vaccinazione, nel loro delirio affettivo, non hanno da offrire nessunissima critica dell’apparato medico (ad esempio nel senso di una critica della riduzione dell’assistenza sanitaria per ragioni di «costo»). Lo dimostra incontrovertibilmente anche il cospirazionista e antisemita Christoph Hörstel (frequentemente oratore alla manifestazione Al-Quds di Berlino22), che ha parlato in tutta serietà di una «ideologia del virus»: secondo Hörstel i virus sarebbero solo il frutto di oscure macchinazioni!

Diversamente da quanto forse pensano i loro adepti le «teorie della cospirazione […] non forniscono mai alcuna visione alternativa al common sense di una società […] ma si riallacciano opportunisticamente alle opinioni dominanti»23. Oppure riformulano il mainstream, ad esempio «cercando» una risposta all’oziosa – e ovviamente tutta da «spiegare» – questione del «Cui bono?» Anche la pandemia e le relative misure vengono interpretate in questo senso. Ad esempio Ernst Wolff (più volte ospite di Ken Jebsen, relatore nel 2019 alla «Conferenza anti-censura» di Ivo Sasek, intrisa di ideologia cospirazionistica)24 giudica il lockdown come segue: «Di sicuro il lockdown è stato solo un pretesto intenzionalmente addotto per quella che potrebbe essere l’ultima grande operazione di salvataggio del sistema finanziario»25.

Il risultato di questa «soggettivazione della crisi» non è altro che una rivolta conformistica. Nei Querdenker non vi è traccia alcuna di una critica della valorizzazione del capitale e del modo in cui questa favorisce l’insorgenza e la diffusione delle pandemie (concatenazione globale dei flussi di merce, distruzione ecologica, «efficienza economica» del sistema sanitario etc.). Gli ideologi della cospirazione di ogni sorta, lungi dal criticare il capitalismo, lo naturalizzano a maggior ragione26. E il fatto che si atteggino in una postura «alternativa» o addirittura «critica» equivale ad uno scherzo di cattivo gusto, capace solo di strozzare la risata in gola.

Va sottolineato a questo proposito che neppure gli «ambienti di sinistra» sono assolutamente immuni dalla follia cospirativistica27. Idee di questo genere non sono prerogativa solo di certe sette staliniste quali l’MLPD ma trovano anche espressione in diversi «critici del neoliberalismo» di sinistra, i quali insinuano che il neoliberalismo sia stato solo una specie di perverso colpo di stato, che sarebbe possibile debellare mediante una «giusta» politica28.

Il concetto di «fronte trasversale», sovente invocato nelle manifestazioni Querdenken29 e in altri contesti solleva tuttavia più questioni rispetto a quelle cui realmente risponde. L’apparente convergenza tra le posizioni della sinistra, della destra e la posizione borghese non è dovuta al fatto che si stiano mettendo a punto «alleanze» tra campi distinti (diversamente dalle «aspirazioni trasversaliste» nella Repubblica di Weimar), quanto piuttosto al fatto che il sistema di riferimento categoriale comune a questi campi si scontra con i suoi limiti storici e quindi si imbarbarisce integralmente nella sua obsolescenza. Oppure, nelle parole di Robert Kurz: «Gli ideologemi della destra, della sinistra e dei liberali si possono distinguere con altrettanto poca chiarezza delle posizioni borghesi- piccoloborghesi e proletarie. Nessuna di queste alternative, ormai solo apparenti, è più in grado di marcare autonomamente un campo storico, di manifestare una coesione intellettuale intrinseca. Lo stanco pragmatismo ed eclettismo che si va diffondendo in tutti i campi, ormai già non più tali, tradisce la nuda impotenza nei confronti di uno sviluppo della società globale, ormai impossibile da cogliere attraverso le scuole di pensiero e i modelli interpretativi finora vigenti. Questa impotenza comune, che frantuma ogni netta delimitazione dei contenuti teorici e politici, rimanda al declino del comune sistema storico di riferimento»30. È possibile quindi parlare di una paralisi della coscienza. Una società che non è più in grado di esercitare una distanza critica da se stessa, e i cui soggetti, ad onta di ogni riflessione critica, immaginano il capitalismo come un destino ineluttabile, favorisce «interpretazioni del mondo» sconclusionate o anacronistiche di ogni genere. La follia cospirazionistica, sempre più pervasiva, completa la paralisi. Pertanto «la tendenza verso le teorie della cospirazione […] non può che rafforzarsi nel momento in cui si consolida l’idea per cui non esiste più la benché minima possibilità di un’esistenza autonoma e autodeterminata mentre invece tutto intorno ci sono solo poteri anonimi che agiscono e dominano nell’ombra. In situazioni così intollerabili, a prima vista senza speranza, generate, ad esempio, dal degrado sociale e da un drastico peggioramento della situazione economica, le teorie della cospirazione appaiono come una scorciatoia ingannevole verso l’interpretazione delle concatenazioni più intricate e trasmettono la sensazione certa di sapere finalmente cosa accade tutto intorno a te e dentro di te […]»31. È chiaro che non basta assolutamente contrastare le teorie della cospirazione e i loro affiliati con argomentazioni e fatti, come si cerca di fare in vari luoghi. A questo riguardo va sottolineato che una critica del delirio cospirazionista appare insufficiente o persino falsa se ad esso si oppone una ragione strumentale che si rivela come la «ragione interna» del modo di produzione e di vita capitalistico nella sua profonda irrazionalità. Quanto più infondate e senza speranza si fanno le «strategie di gestione della crisi», tanto meno si differenziano follia cospirativa e «ragione borghese» (oppure i suoi derivati imbarbariti). Ciò è tanto più vero quanto più difficoltosamente la «normalità» può essere conservata o simulata. E nulla cambierà anche dopo l’elezione di Joe Biden a presidente degli USA. Al contrario c’è da attendersi un’ulteriore aggravamento delle contraddizioni sociali. Lo stesso ci si può aspettare dai «modelli di reazione» autoritari del cosiddetto Stato di diritto. La «prova» dello stato di eccezione nella crisi del coronavirus darà ben presto i suoi frutti.

In quest’epoca di imbarbarimento della coscienza resta ancora e più che mai la necessità di analizzare concettualmente i rapporti sociali. Affinché sia possibile farlo anche in futuro, vi preghiamo di sostenerci anche quest’anno con le vostre donazioni. I testi qui pubblicati documentano il nostro contributo nel presente numero di exit!

Il testo «La fine dell’Occidente nella crisi del coronavirus» di Tomasz Konicz ripercorre i sommovimenti dell’egemonia statunitense e la sua progressiva erosione nel contesto del sistema di alleanze occidentale, ormai pericolante, sullo sfondo del processo storico di crisi causato dal limite interno del capitale nel corso di una serie di fasi. Partendo dalla trasformazione della base economica della posizione egemonica di Washington, risalente ormai a ben quarant’anni or sono e innescata dall’esaurimento del boom fordista del dopoguerra e dal susseguente periodo di crisi della stagflazione, nonché dal mutamento del ruolo militare della macchina bellica statunitense dopo la fine della «Guerra fredda» contro il socialismo di Stato collassato nel 1989, si sottolinea il ruolo centrale dei circoli deficitari globali, assieme alla finanziarizzazione del capitalismo, per il mantenimento dell’egemonia degli USA fino al 2008. Con l’impennata della crisi nel 2008 – questa la tesi centrale del testo – i momenti della concorrenza legata alla crisi si sono imposti anche in seno all’Occidente, tanto che è stato proprio il nazionalismo economico dell’amministrazione Trump ad accelerare la disgregazione dell’Occidente e il crollo definitivo dell’egemonia americana. Pertanto un ritorno allo status quo ante Trump non sarà più possibile. Il processo storico di crisi, stimolato per giunta anche dal virus, ha ormai raggiunto uno stadio così avanzato che qualsiasi tentativo dei centri occidentali di conseguire la «stabilità» non potrà che rivelarsi inutile.

Il testo di Fabio Pitta «La crescita e la crisi dell’economia brasiliana nel XXI secolo come crisi della società del lavoro: bolla delle commodity, capitale fittizio e la critica del valore/dissociazione» cerca di collegare la crescita economica in Brasile a partire dal 2003, assieme alla crisi economica susseguente al biennio 2012/2013, con l’economia delle bolle finanziarie alimentate dal capitale fittizio come momento della riproduzione globale del capitalismo attuale nella sua crisi fondamentale. prende le mosse dalla critica rivolta a quegli autori brasiliani che analizzano la crisi facendo riferimento solo all’«arretratezza» del Brasile. Una bolla sui mercati finanziari, legata ai derivati sulle materie prime, ha condotto a un considerevole aumento dei prezzi, trainando le esportazioni brasiliane oltre che l’indebitamento del paese. Ciò ha permesso una concorrenza per il debito tra le imprese della cosiddetta «economia reale» che, a sua volta, ha generato uno sviluppo accelerato delle forze produttive, un aumento della composizione organica del capitale e l’espulsione del lavoro vivo dai processi di produzione. Tutti questi fenomeni erano già in atto in Brasile almeno a partire dagli anni Settanta ma nel periodo più recente sono andati incontro ad un‘ulteriore intensificazione. Questi processi poterono durare solo fino alla scoppio della bolla delle materie prime tra il 2011 e il 2012, conseguente alla scoppio della bolla finanziaria globale nel 2008, che nel testo, seguendo Robert Kurz, viene interpretato alla luce del capitale fittizio e dell’accumulazione simulata. A partire dal 2012 il Brasile ha registrato un elevato indebitamento pubblico e privato, disoccupazione di massa, diffusione dei fallimenti aziendali, instabilità politica e crescita dell’estremismo di destra, che ha esacerbato l’imbarbarimento sociale e la violenza contro le donne, i neri, gli indigeni e i contadini. Il testo sostiene infine la la necessità della critica radicale del valore/dissociazione che, con la sua critica del capitale, della merce e del lavoro, mira al superamento di questa mediazione sociale.

Il testo di Thomas Meyer offre un ulteriore contributo alla serie di articoli «Alternative al capitalismo – Sotto esame»32. In questo caso si esaminano il movimento della post-crescita e quello dei beni comuni. Ciò che emerge con chiarezza è che queste presunte alternative al capitalismo non solo difettano totalmente di una critica categoriale ma sono anche compatibili con una gestione repressiva della crisi. Mediante progetti quali, ad esempio, il «denaro regionale» si intende ricorrere a surrogati del mercato e dello Stato per conservare il capitalismo in un’esistenza da morto vivente. Non c’è dubbio che la necessità di contestare, anche «praticamente», il capitalismo sia oggi più viva che mai, magari attraverso una critica della «finanziabilità»; tuttavia il movimento della post-crescita e dei beni comuni non hanno da offrire molto più di una «alternativa» nella miseria sociale della crisi; punti cruciali, come la questione della sintesi sociale, non vengono affrontati.

Dopo la ripubblicazione del testo di Robert Kurz sulla follia automobilistica nell’ultimo numero di exit! (primavera 2019), Thomas Koch nel suo articolo «Sull’attualità di “Semaforo verde per il caos della crisi” di Robert Kurz» analizza gli sviluppi più recenti e più incisivi del trasporto automobilistico, anche sullo sfondo della catastrofe climatica e dei movimenti ambientalisti. Quali opzioni racchiudono le «visioni futuristiche» della mobilità elettrica o della guida autonoma e delle soluzioni tecnologiche di fronte alla perdita di controllo globale associata alle tematiche del coronavirus e del clima? Si formula inoltre una riflessione critica circa gli sviluppi concernenti il cosiddetto «scandalo delle emissioni» e la sua proiezione su di un management staccato dalla realtà nel paese-chiave dell’industria automobilistica.

Nel suo contributo Andreas Urban discute gli aspetti simbolico-culturali dell’«imbarbarimento del patriarcato» (Roswitha Scholz). Esso parte innanzitutto da tutta una serie di cambiamenti, socialmente molto discussi, sul livello delle relazioni di genere, in particolare le tendenze post-moderne verso l’attenuazione delle norme e dell’identità di genere. Negli ultimi decenni, ad esempio, abbiamo assistito ad una crescente normalizzazione delle carriere professionali femminili e al conseguimento da parte delle donne di posizioni sociali elevate nella gerarchia sociale, soprattutto in campo economico e politico. Di questo contesto fanno parte anche le misure politiche per la parificazione tra uomini e donne (quote rosa etc.). D’altro canto gli uomini, in seguito a questi processi nell’ambito dei rapporti di genere, ma anche a causa delle fratture sempre più drammatiche nel mercato del lavoro, vedono sensibilmente lesa la loro storica posizione di supremazia e quindi la loro identità maschile – tendenze recentemente discusse sotto l’etichetta della «crisi della mascolinità». Il fulcro del contributo è la tesi per cui, differentemente dalle ordinarie valutazioni (femministe), questi cambiamenti in realtà non rappresentano il sintomo di una graduale attenuazione o addirittura di un superamento delle strutture patriarcali e androcentriche sviluppatesi nel corso della storia ma sono piuttosto un sintomo del loro progressivo imbarbarimento nella crisi fondamentale del capitalismo e dei rapporti basati sul valore e la dissociazione che ne stanno alla base. Lo evidenzia particolarmente bene il fatto che le gerarchie di genere continuano a riprodursi ininterrottamente, sia sul piano materiale che su quello simbolico, anche se parzialmente in forma diversa.

Di Robert Kurz è stato pubblicato in portoghese per Consequencia il saggio del 1993 Die Demokratie frißt ihre Kinder [La democrazia divora i suoi figli]33, A democracia devora seus Filhos, Rio de Janeiro, 2020, con una prefazione di Roswitha Scholz34. In francese sono apparsi una riedizione del saggio di Anselm Jappe, Guy Debord, La Découverte, Parigi, 2020, nonché il secondo e terzo numero della rivista Jaggernaut – crisi e critica della società capitalistico-patriarcale, Crise & Critique, Albi, 2020, con testi di Claus-Peter Ortlieb, di Robert Kurz, L’industrie culturelle au XXIe siècle – De l’actualité du concept d’Adorno et Horkheimer (ibid.)35 inoltre un’antologia sulla crisi del coronavirus, De virus illustribus – Crise du coronavirus et èpuisement structurel du capitalisme [De virus illustribus – crisi del coronavirus ed esaurimento strutturale del capitalismo] (ibid.). In questo volume si intende dimostrare come la nuova crisi economica mondiale non sia stata causata dal virus poiché era già in atto da tempo. Esso esamina inoltre le difficoltà nel rimettere in moto per l’ennesima volta il capitalismo e le oscillazioni degli Stati tra il “salvataggio dell’economia” e il “salvataggio delle popolazioni” e ne illustra le conseguenze specifiche, anche in riferimento alla dissociazione mediata dal valore, in un paese come il Brasile. Vengono analizzate le nuove tecniche di sorveglianza nonché discussa la questione se perlomeno la coscienza ecologica potrà trarre giovamento da questa crisi.

Il libro Béton – Arme de construction massive du capitalisme [Il cemento – Arma di costruzione di massa del capitalismo] di Anselm Jappe (L’Echappée, Parigi, 2020) analizza il ruolo di un materiale quale il cemento, meno sottoposto a critica rispetto ad altri materiali utilizzati su larga scala come la plastica o il petrolio. Dopo un riassunto della sua storia e delle sue conseguenze si dimostra che questo materiale può essere considerato come il lato «concreto» dell’astrazione del valore: la «gelatina» di valore, di cui parlava Marx, si materializza nel cemento sempre uguale, quantità senza qualità, che ha livellato la varietà delle costruzioni nel mondo a favore di un’architettura monotona, basata proprio sul cemento.

Per Schmetterling-Verlag è uscito di Tomasz Konicz, Klimakiller Kapital – Wie ein Wirtschaftssystem unsere Lebensgrundlagen zerstört [Il capitale assassino del clima – come un sistema economico distrugge i fondamenti naturali della vita], Vienna/Berlino, 2020.

Thomas Meyer per la redazione di exit!, novembre 2020.


  1. Per una panoramica si veda Wurzbacher, Ralf, Risiken und Nebenwirkungen, aber keine Packungsbeilage – Die Corona-Eindämmung droht mehr Leid zu verursachen, als sie verhindert [Rischi ed effetti collaterali ma nessun foglietto illustrativo – Il contenimento del coronavirus rischia di causare più sofferenze di quelle che evita], Nachdenkseiten.de, 20.11.2020. Il «danno collaterale» e la sua entità dovrebbero però essere considerati nel contesto dell’aziendalizzazione del sistema sanitario non come un argomento decisivo contro le misure per il virus. Per una critica dell’«ospedale azienda» si veda anche Kreilinger, Verena/Wolf, Winfried/Zeller, Christian, Corona, Krise, Kapital – Plädoyer für eine solidarische Alternative in den Zeiten der Pandemie [Coronavirus, crisi e capitale – Appello per un’alternativa solidale nell’epoca della pandemia] , Köln 2020, pp 62 e ss.

    ^
  2. Cfr. ad es. Gössner, Rolf, Durchregieren per Dekret – Infektionsschutzgesetz: Die parlamentarische Demokratie befindet sich im Ausnahmezustand. Das muss sich endlich ändern [Governare per decreto – La legislazione per la difesa contro l’infezione: la democrazia parlamentare si trova in uno stato di eccezione. Non è possibile continuare così], in Der Freitag N.47/2020.

    ^
  3. Cfr. Gruppe Fetischkritik Karlsruhe, Das Virus – Kritik der politischen Pandemie I/II [Il virus – Critica della pandemia politica I/II], 2020, su exit-online.org.

    ^
  4. Cfr. Heinelt, Peer, Unmittelbarer Zwang – Gewalt im Polizeidienst – da lässt der Gesetzgeber seinen Schergen reichlich Spielraum [Coercizione immediata – La violenza della polizia – perché il potere legislativo concede ai suoi sgherri un così ampio margine di azione] in Konkret 10/2020.

    ^
  5. Cfr. Konicz, Tomasz, Terrortruppe Antifa? [I terroristi di Antifa?], Telepolis del 2.6.2020.

    ^
  6. Si veda a questo riguardo l’antologia Berendsen, Eva/Rhein, Katharina/ Uhlig, Tom David (a cura di), Extrem unbrauchbar – Über Gleichsetzungen von links und rechts [Estremamente inservibili – Sull’equiparazione della sinistra e della destra], Berlino, 2019.

    ^
  7. Nowak, Peter, Terrorabwehrzentrum gegen satirisch verfremdete Plakate [Centrale anti-terrorismo contro la pubblicità ritoccata per fini satirici], Telepolis, 26.2.2020. Cfr. anche Badura, Leander F., »Wir zuerst. SPD.« [«Noi per prima cosa. SPD»], freitag.de, 12.5.2020.

    ^
  8. Cfr. ad es. Kaul, Martin/Schmidt, Christina/Schulz, Schulz, Hannibals Schattenarmee [L’esercito-ombra di Hannibal], taz.de, 16.11.2018, nonché Rechte Netzwerke und die »Affäre Caffier« [Le reti della destra e l’«affare Caffier»] , Jung und Naiv N. 489, youtube.com, 27.11.2020.

    ^
  9. Cfr. Konicz, Tomasz, Braunstaat BRD? [La Germania è uno Stato in camicia bruna?], Telepolis, 29.10.2020. Cfr. anche: Selle, Anett, Polizeigewalt bei Demo in Ingelheim – Blut und Panik im Tunnel [Violenza poliziesca alla manifestazione di Ingelheim – Sangue e panico nel tunnel], taz.de, 18.8.2020.

    ^
  10. Cfr. Böttcher, Herbert, Moria – Eine vorhersehbare Katastrophe [Moria – Una catastrofe prevedibile], 2020, nonché dello stesso autore »Wir schaffen das!« – Mit Ausgrenzungsimperialismus und Ausnahmezustand gegen Flüchtlinge [«Ce la facciamo!» - Con l’imperialismo dell’esclusione e lo stato di eccezione contro i profughi], 2016, exit-online.org.

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  11. Una panoramica a questo riguardo, da una prospettiva marxista, ce la offre la seguente antologia Stanišić, Sascha/ Arnsburg, René (a cura di): Pandemische Zeiten – Corona, Kapitalismus, Krise und was wir dagegen tun können [Epoca pandemica – Coronavirus, capitalismo, crisi e come si potrebbe reagire], Berlino, 2020.

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  12. Si veda a questo riguardo, ad es., Nowak, Elisa, Ultrarechte Machtprobe [Prova di forza dell’ultradestra], freitag.de, 30.8.2020, nonché Hanloser, Gerhard, Ressentiment und Souveränismus [Risentimento e sovranismo], Telepolis, 1.9.2020, in cui si fa ripetutamente notare come le manifestazioni, soprattutto quelle del secondo lockdown, non coinvolgano esclusivamente teorici della cospirazione o nazisti ma anche individui economicamente rovinati dalle misure di contenimento. Su questo punto vi è però da obiettare che questi ultimi non si distanziano nettamente dalle correnti di destra, né tantomeno cercano di organizzare qualcosa di autonomo. È più probabile attendersi che si indirizzino verso «interpretazioni della crisi» reazionarie piuttosto che elaborino una critica emancipatoria. Cfr. anche Kommunalinfo Mannheim, Vom Querdenken zur Querfront [Dal pensiero trasversale al fronte trasversale], youtube.com, 2.12.2020.

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  13. Cfr. Lenk, Kurt, Rechts wo die Mitte ist – Rechtsextremismus, Nationalsozialismus, Konservatismus [La destra è dove il centro – estremismo di destra, nazionalsocialismo, conservatorismo], Baden-Baden, 1994.

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  14. Cfr. ad es., Ortlieb, Claus Peter, Absturz einer Debatte – Zu Andreas Exners Versuch einer Auseinandersetzung mit der Krisentheorie [Collasso di un dibattito – Sul tentativo di un confronto con la teoria della crisi da parte di Andreas Exner], 2008, exit-online.org. Si veda anche Kurz, Robert, Krise und Kritik I/II [Crisi e critica I/II], exit – Krise und Kritik der Warengesellschaft N.10/11, Berlino 2012/13.

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  15. Pubblicato da Initiative Sozialistisches Forum, Friburgo, 2000.

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  16. Su Krall si veda Meyer, Thomas, Kleinbürgerliche Hirne in der Krise – Die ›Zombiefizierung‹ des Geistes und der Niedergang des Kapitalismus [Cervelli piccolo-borghesi nella crisi – La «zombificazione» dello spirito e il declino del capitalismo], 2020, exit-online.org, nonché i contributi di Andreas Kemper su andreaskemper.org.

    ^
  17. Otte, Max, Weltsystemcrash – Krisen, Unruhen und die Geburt einer neuen Weltordnung [Il disastro del sistema mondiale – crisi, disordini e la nascita di un nuovo ordine mondiale], Monaco, 7°. ed. 2020, 1° ed. 2019, 484. Questa la citazione di Otte riportata da taz.de. il 14.2.2020: «Sul piano squisitamente personale sono però dell’idea che la CDU dovrebbe esplorare la possibilità per coalizioni di centro-destra con l’AfD su tutti i livelli».

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  18. Cfr. Scholz, Roswitha, Die Rückkehr des Jorge – Anmerkungen zur »Christianisierung« des postmodernen Zeitgeistes und dessen dezisionistisch-autoritärer Wende [Il ritorno di Jorge – Osservazioni sulla «cristianizzazione» dello Zeitgeist postmoderno e la sua svolta decisionistico-autoritaria] in exit! – Krise und Kritik der Warengesellschaft Nr.3, Bad Honnef 2006, 157–175.

    ^
  19. Sull’«arruolamento» populista della religione si veda Concilium – Internationale Zeitschrift für Theologie, Populismus und Religion, 2/2019, Ostfildern, 2019.

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  20. Queste le parole dello storico Rudolf Jaworski nel saggio »Verschwörungstheorien aus psychologischer und aus historischer Sicht« [Teorie della cospirazione in una prospettiva psicologica e storica], in Caumanns, Ute/Niendorf, Mathias, Verschwörungstheorien – Anthropologische Konstanten – historische Varianten [Teorie della cospirazione – Costanti antropologiche – Varianti storiche], Einzelveröffentlichungen des Deutschen Historischen Instituts Warschau, Osnabrück 2001, 19.

    ^
  21. Cfr. Fuchshuber, Thorsten, Antisemitismus in der Pandemie: Alter Wahn, neues Gewand [Antisemitismo nella pandemia: vecchia follia, nuovo abito], jungle.world, 23.7.2020. Sulle manifestazioni legate al virus in Germania si veda anche https://report-antisemitism.de/documents/2020-09-08 nonché Momentmal, Vom »Querdenken« zur Querfront – Coronaproteste als Podium für Antisemitismus [Dal «pensiero trasversale» al fronte trasversale – le proteste legate al virus come tribuna per l’antisemitismo], youtube.com., 29.11.2020.

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  22. Sulla «adunata di Al-Quds» si veda Wahdat-Hagh, Wahied, Der islamistische Totalitarismus – Über Antisemitismus, Anti-Bahaismus, Christenverfolgung und geschlechtsspezifische Apartheid in der ›islamischen Republik Iran‹ [Totalitarismo islamista – su antisemitismo, anti-bahaismo, persecuzione dei cristiani e apartheid di genere nella «Repubblica islamica dell’Iran»], Francoforte, 2012, 151e ss.

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  23. Jaworski, 2001, 27.

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  24. Alcune informazioni per il lettore italiano. Ernst Wolff è un giornalista economico, specializzato nella stesura di libri che incolpano il sistema finanziario di tutti i mali dell’economia. Ken Jebsen è un discusso giornalista radiofonico e televisivo, attivo nel web e su Youtube. Infine lo svizzero Ivo Sasek è un curioso predicatore laico che dà voce con le sue iniziative «anti-censura» a posizioni ritenute, a torto o a ragione, marginalizzate o demonizzate dai media (Scientology etc.).

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  25. Ernst Wolff di Wall Street Spezial: Corona-Pandemie – Endziel digitaler Finanzfaschismus [Pandemia da coronavirus – Obiettivo finale del fascismo finanziario digitale], youtube.com, 7.9.2020, a partire dal decimo minuto circa.

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  26. Cfr., ad esempio, il cosiddetto «Piano B» di Andreas Popp e Rico Albrecht in https://www.wissensmanufaktur.net/plan-b/.

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  27. Cfr. Wassermann, Martin, Agenten, Eliten und Paranoia – Das Verschwörungsdenken in der deutschen Linken [Agenti, elite e paranoia – il pensierio della cospirazione nella sinistra tedesca], Berlin 2012, https://associazione.files.wordpress.com/2020/02/maulwurfsarbeit_ii.pdf

    ^
  28. Cfr. a questo riguardo la sezione »Die Krise als subjektives Willensverhältnis« [La crisi come rapporto di volontà soggettivo] in Kurz, Robert, Krise und Kritik II, in exit! – Krise und Kritik der Warengesellschaft Nr.11, Berlin 2013, 98. e ss.

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  29. Lo si potrebbe tradurre come “pensiero eterodosso o fuori dagli schemi”.

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  30. Kurz, Robert, Das Weltkapital – Globalisierung und innere Schranken des modernen warenproduzierenden Systems [Il capitale-mondo – Globalizzazione e limiti interni del moderno sistema della merce], Berlino 2005, 367.

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  31. Jaworski 2001, 22.

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  32. Precedentemente pubblicati: »Gemeinwohlökonomie« di Dominic Kloos (2018) nonché »Bedingungsloses Grundeinkommen« di Günther Salz (2019). Entrambi disponibili anche su exit-online.org.

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  33. Pubblicato per la prima volta in Edition Krisis (a cura di), Rosemaries Babies – Die Demokratie und ihre Rechtsradikalen [Rosemaries Babies – La democrazia e i suoi estremisti di destra], Unkel Rhein/Bad Honnef, 1993.

    ^
  34. Cfr. anche Scholz, Roswitha, Die Demokratie frisst immer noch ihre Kinder – heute erst recht! [La democrazia continua a divorare i suoi figli – oggi a maggior ragione!], in exit! – Krise und Kritik der Warengesellschaft N.16, 2019, 30–60.

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  35. Precedentemente pubblicato in exit! Nr.9, 2012.

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