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exit!19: Editoriale, lettera aperta e appello per le donazioni


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zu Klampen Verlag.


Che farsa. Dopo che in primavera la Corte costituzionale aveva rimproverato al governo di non essersi adoperato abbastanza per combattere il cambiamento climatico, mettendo così a repentaglio la vita e la libertà delle generazioni future, i «funzionari del capitale» non la smettevano più di autoelogiarsi in tono pretenzioso, sottolineando quanto già fosse stato fatto ed implementato in termini di politica di salvaguardia del clima. Naturalmente anche i paladini del diritto sono senz’altro dell’idea che la «crisi climatica» si possa risolvere nel quadro dell’«ordine liberal-democratico». Grazie a una «politica giusta», nel contesto delle «giuste condizioni-quadro», sarebbe bell’e che fatta la «cosa giusta», naturalmente in ossequio alla «sostenibilità finanziaria» e alla «crescita economica». Dal «governo-semaforo» non è possibile attendersi nulla di diverso, per non parlare della «comunità internazionale degli Stati», come dimostrano regolarmente i cosiddetti «vertici sul clima».

Quando si tratta di giustificare l’assottigliamento delle reti di sicurezza sociale e il degrado delle infrastrutture viene avanzata assai volentieri l’idea per cui non si dovrebbe gravare di «ipoteche» le generazioni future, così da renderle «a prova di futuro». Pertanto, in caso di sovraindebitamento dello Stato, non ci sarebbe alcun futuro per la giovane generazione. Per questa ragione essa deve impoverirsi sempre più, fare sacrifici e, all’occorrenza, morire. Ciò che viene presupposto ingenuamente qui è che sia possibile aumentare le entrate statali, riducendo la spesa pubblica, affinché lo Stato possa permettersi di spendere in futuro addirittura di più. Naturalmente anche in questo caso vale l’adagio: tutte le spese dello Stato sono uguali, ma alcune sono più uguali delle altre (parafrasando George Orwell). Di fatto non è prevista alcuna riduzione della spesa militare.

In nome della cosiddetta sostenibilità futura bisogna mobilitare e rimodellare il presente in modo da adeguarlo agli attuali interessi della valorizzazione oppure per inaugurare nuove possibilità di valorizzazione. È ciò che passa sotto il nome di «modernizzazione» o «sviluppo», e quest’ultimo, ovviamente, potrebbe essere «sostenibile» solo se la crescita economica non viene danneggiata a lungo termine. I criteri principali sono pur sempre gli utili e i cosiddetti posti di lavoro che si potrebbero eventualmente creare ex-novo (o ripristinare in condizioni peggiorate). Solo ciò che contribuisce o potrebbe contribuire alla continuità e alla crescita della valorizzazione del capitale è considerato «progressivo» o «sostenibile». Questo genere di misure sacrificano il presente, quindi l’uomo e la natura, per un futuro che non è altro che un astrazione che soggioga la realtà, che non ha nulla a che vedere con l’apertura al nuovo o cose simili, ma è solo la prosecuzione del presente. Tutte le cosiddette visioni del futuro presuppongono le relazioni feticistiche di dominio vigenti1. Ciò che sarebbe possibile o necessario fare (la tutela dell’ambiente e del clima) si converte in una questione marginale se non addirittura nel suo esatto contrario. In definitiva si dovrebbero combattere gli effetti con strumenti che generano gli stessi effetti in misura ancora maggiore. Se la «capacità di gestione» della politica (attraverso le tasse etc.) viene meno, non resta che fare affidamento su soluzioni tecniche definitive (geo-ingegneria, intelligenza artificiale o «tecnologie miracolose» che saranno inventate prima o poi), che si ritiene in grado di invertire la rotta all’ultimo momento. Questa sottomissione a condizioni che essa stessa a creato e la relativa feticizzazione della tecnologia equivalgono alla rassegnazione al proprio destino da parte dell'umanità.

Lo si vede chiaramente anche nel caso della digitalizzazione. Non si spreca nessuna riflessione sui contenuti reali da trasporre in forma digitale (istruzione, medicina, ecc.). La pandemia ha intensificato ulteriormente la mania della digitalizzazione e delle pratiche di dominio associate. Essa si adatta magnificamente al regno tecnocratico del terrore2, come si vede facilmente nel regime cinese. Anche l’«Occidente dei valori» si muove verso una direzione simile o comparabile. Cambiamento attraverso il riavvicinamento: è questo apparentemente il motto del regime di crisi (post-democratico)3. La pandemia viene utilizzata anche per estendere e modernizzare gli strumenti di repressione esistenti al fine di «gestire» crisi di ogni genere in maniera più efficace con i metodi dello stato di polizia (ad esempio, minando ulteriormente la libertà di manifestare, il diritto di sciopero e i diritti dei lavoratori)4. È una situazione certamente paragonabile all’11 settembre 2001. Anche allora l’apparato di sicurezza venne ampliato e modernizzato con il pretesto di agire esclusivamente contro il terrorismo islamista5.

Gli «effetti collaterali» catastrofici della digitalizzazione (socio-psicologici ed ecologici) vengono minimizzati come il prezzo del «progresso» o come «danni collaterali»; in definitiva li si accetta consapevolmente come un «destino», contro cui lo Stato interviene con normative folli («impegno volontario» delle imprese, aumento o riduzione delle tasse etc.) e/o garantendo con il suo pugno visibile che il cosiddetto progresso come presunta «necessità storica» venga imposto con la forza (si pensi all'estrazione delle materie prime e alle espropriazioni che ne sono derivate, all'espulsione e allo sterminio degli indigeni, ecc.). Su questo punto stalinismo e (neo)liberalismo concordano. Entrambi si producono nei loro perfidi sofismi quando si tratta di spacciare la coercizione repressiva come «libertà». La comprensione di ciò che è necessario al capitalismo stabilisce il quadro entro il quale la «libertà» deve essere realizzata. Il pugno visibile dello stato e dei suoi sgherri dei servizi segreti vegliano affinché ciò rimanga così 6. Così l’«ordine liberal-democratico» (con o senza stato di eccezione e le diverse integrazioni dittatoriali) consente solo la collaborazione attiva o l’accettazione passiva alla distruzione del mondo. La libertà borghese diventa così una libertà per la morte. La libertà borghese getta sempre più la sua maschera quanto più lo «spazio per la gestione e le scelte» si restringe, le misure politiche non portano più a nulla o conseguono l'effetto opposto. Il limite dell’azione dello Stato è e rimane sempre la sua capacità di autofinanziarsi, la quale implica una valorizzazione riuscita del capitale, che però ristagna sempre di più, rivelandosi un programma di distruzione del mondo (cosicché ritorniamo da capo al problema originario). Alla fine non c’è più niente da scegliere o da gestire nella cornice della costituzione feticistica del capitalismo, perché è quest’ultima che deve essere oggetto di critica teorica e pratica mentre tutti gli imperativi che ne derivano (finanziabilità, redditività, posti di lavoro) devono essere risolutamente contrastati. Sono tutti i «criteri di successo» capitalistici che vanno respinti come nulli, non coloro che non sono (o non sono più) in grado di soddisfarli. Bisogna rifiutare inoltre che la produzione si verifichi solo se contribuisce potenzialmente alla valorizzazione del valore (oppure che continui a verificarsi solo perché valorizza il capitale – magari solo a credito).

«Morire di fame»7 per diventare «sostenibile» in senso capitalistico, cioè per affermarsi nella concorrenza a spese degli altri, è essenzialmente un culto arcaico del sacrificio umano: il «capitalismo come religione» (Walter Benjamin) si rivela così come una sinistra idolatria. Che la «sostenibilità» possa anche fallire lo si vede anche dal fatto che a certi uomini viene negata. Se le persone appaiono solo come «fattori di costo» o, per dirla in modo fascista, come «esistenze-zavorra» o come «sanguisughe del popolo», se il valore della loro vita si misura solo in base al contributo al prodotto interno lordo, allora la loro distruzione è solo questione di tempo8 (anche se ciò avviene solo indirettamente mediante la violenza strutturale9). Il pensiero e l’azione socialdarwinisti (il nesso che lega il fascismo/nazionalsocialismo e il (neo)liberalismo) sono dunque applicati alla scienza economica.

Solo se le decisioni e le azioni umane non sono prestrutturate o predeterminate dalla matrice aprioristica della costituzione formale capitalistica si aprirebbe la possibilità di un futuro che non sarebbe causato o forzato mediante il sacrificio continuo del presente. Il vero sviluppo sostenibile potrebbe dunque diventare realtà solo se si prende coscienza tutto ciò che abbiamo indicato qui e si mette radicalmente in questione ciò che ha fatto del presente una minaccia per il futuro. È chiaro che non si tratta solo di una questione teorica ma non è in nessun caso una questione giuridica.

Come molti numeri precedenti di Exit!, anche questo non ha un «vero» tema principale poiché gli argomenti trattati si sovrappongono e si riallacciano l’uno all’altro. Quindi la «suddivisione» accademica in testi principali e secondari ci appare qui poco sensata.

Con un nuovo contributo alla serie di articoli «Alternative al capitalismo – Sul banco di prova»10 Thomas Meyer si occupa dell’«ecosocialismo». In seguito alla catastrofe climatica e all’incessante distruzione dell’ambiente, dovuta allo stile capitalistico di produzione e di vita, l’attenzione nei suoi confronti è aumentata considerevolmente. Secondo i suoi sostenitori l’ecosocialismo sarebbe un «trait-d’union» tra l’ecologia e la teoria di Marx. Ciascun orientamento nell’ambito dell’ecosocialismo ravvisa in Marx un grado differente di riflessione ecologica. Meyer tratteggia quindi il «discorso ecologico», come lo si riscontra nell’opera di Marx e Engels e come viene valutato dai vari ecosocialisti. Al centro c’è il metabolismo dell’uomo con la natura nella forma il cui lo plasma il processo di valorizzazione capitalistico, adeguandolo alle esigenze del capitale. Viene alla luce come la «contraddizione tra materia e forma» (Ortlieb) si manifesti, oltre che nel mondo delle merci, anche nel metabolismo con la natura. Inoltre Meyer affronta le carenze teoriche degli ecosocialisti, che vanno da una concezione riduttiva della crisi e dello Stato fino a idee tranquillamente definibili come reazionarie o piccolo-borghesi.

Il saggio di Tomas Konicz «Profeti del crollo, prepper e profittatori di crisi – l'ideologia di destra nella crisi» tenta di delineare i tratti fondamentali dell’ideologia relativa alla crisi e della prassi della destra negli ultimi anni – dal crollo della bolla immobiliare transatlantica, fino alla crisi dei rifugiati e alla pandemia. A partire dalla strumentalizzazione della teoria della crisi di Marx e della critica del valore da parte degli intellettuali della Nuova Destra, si analizzano ad uno ad uno i movimenti, le narrazioni e le ideologie nella loro interazione con le corrispondenti fasi della crisi: dalle conventicole di estrema destra e golpiste negli apparati dello Stato, fino al cosiddetto movimento prepper, all’interpretazione reazionaria e strutturalmente antisemita della crisi degli autori della destra, all’opaca differenziazione dell’ossessione sulla scia delle proteste dei Querdenker. Si fa infine riferimento alla funzione irrazionale dell’ideologia di destra, che si integra perfettamente con le tendenze di autodistruzione sociale ed ecologica messe in atto dal capitalismo nella sua crisi terminale.

Kim Posstner nel suo « La mascolinità è la crisi ?! – Sulla storia e il rapporto tra la crisi latente e manifesta del soggetto borghese e la sua natura sociale (di genere) Aspetti della storia della 'mascolinità'». Al centro c’è il fatto che la «mascolinità», nel patriarcato produttore di merci, deve essere continuamente riprodotta, senza mai raggiungere la «stabilità» sulle proprie basi: una «mascolinità autentica» semplicemente non può esistere. O «non esiste ancora realmente» oppure «non esiste quasi già più». Sempre a rischio di rivelarsi solo una dissolvenza del passato. Mai in grado di evitare la sua scomparsa nel futuro. Che la mascolinità sia in crisi è pertanto una diagnosi che sembra sempre valida e che viene avanzata normalmente come argomento per la ri-sovranizzazione patriarcale. Pensatori più critici ribattono: «La mascolinità è la crisi!» - alludendo alla costituzione fondamentalmente precaria della mascolinità e alla paura sotterranea della fragilità e del declino. Tuttavia, per quanto sia giusto rifiutare l’apologia della natura mitico-eterna del genere – che tutto vuole cambiare, così da diventare ciò che era fin dal principio – è però sbagliato ignorare la storia che vi è contenuta. Quindi, invece di evidenziare l'eterno presente del genere alla maniera decostruttivista, variandola in una policroma «diversità», come fa il femminismo queer, occorre perseguire la coazione a ripetere il genere della società borghese in termini materialistici attraverso gli sconvolgimenti storici. Infatti solo una storia dell'eternità mitica del genere, cioè una considerazione della storia interna della natura sociale (di genere), consente di chiarire il rapporto tra la crisi latente e manifesta del genere in generale e della mascolinità in particolare. In questo senso la mascolinità può essere sviluppata come categoria «naturale» della relazione di valore e della sua dissociazione sessuale, che nello svolgimento storico della contraddizione in processo, cioè del capitale, declina regolarmente per essere poi rinnovata nella rispettiva fase storica. Il modo in cui gli uomini si misurano attualmente con questo declino e la maniera barbarica con cui le ideologie, soprattutto quelle völkisch e islamiste, aspirano a questo rinnovamento rivela il modo in cui oggi si manifesta la crisi, dopo la «fine della storia», e soprattutto quale potenziale regressivo sia in grado di scatenare.

Il testo «Narciso o Orfeo? Osservazioni su Freud, Fromm, Marcuse e Lasch» di Anselm Jappe è un contributo al rapporto tra psicoanalisi freudiana e critica sociale radicale. In particolare, esso ripercorre il dibattito su Freud condotto da Erich Fromm, Theodor Adorno, Norman Brown, Herbert Marcuse, Christopher Lasch e altri nel corso di mezzo secolo, in cui tutti costoro hanno argomentato in nome dell'emancipazione sociale e della critica del capitalismo, rimproverando però ai contendenti di essere rimasti senza volerlo nel quadro della società che desideravano abolire. Un ruolo particolare lo giocano qui i concetti di «narcisismo» e «pulsione di morte». Gli attacchi di Adorno e Marcuse a Fromm appaiono paradossali, in quanto sembrano difendere il Freud «conservatore»: a loro detta questi aveva riconosciuto l'impossibilità di un'armonia tra struttura pulsionale e società capitalista. Christopher Lasch, nella sua opera La cultura del narcisismo (1979), sottolinea come la classica struttura familiare edipica, attaccata dalla «sinistra freudiana», contiene in sé la possibilità di sviluppare un Io autonomo, mentre il narcisismo oggi predominante si armonizza perfettamente con il capitalismo consumistico. Esso reca con sé una costante oscillazione tra sentimenti di impotenza e onnipotenza, che si esprime, tra l'altro, nel costante avanzamento delle tecnologie. Ma ciò che difetta anche a Lasch è un’analisi delle cause storiche dell'ascesa del narcisismo e una discussione sull'isomorfismo tra narcisismo e valore: entrambi si basano su uno svuotamento del mondo e sulla sua riduzione a un'unica (pseudo)sostanza: nel caso del valore, il lavoro astratto, in quello del narcisismo l'io monadizzato e privo di mondo.

Con il commento: «Exit! – ora dimmi, come ti senti riguardo alla religione? – Un chiarimento» Roswitha Scholz affronta una »questione cruciale« nell’ambito di exit !. Ciò sembra tanto sensato quanto necessario, poiché materialismo e ateismo (secondo la tradizione marxista-leninista) vengono spesso letti negli ambienti critici come sinonimi di critica sociale. Questo per contraddire l'idea che il pensiero teologico sia in quanto tale reazionario.11

Le catastrofi collegate ai processi di crisi non sono apparentemente sufficienti per tematizzare la questione di Dio e della sofferenza in teologia. Per questo era necessario il coronavirus. Herbert Böttcher se ne occupa nel testo «Signor Kant, abbia pietà di me! - Dio in giudizio nella crisi pandemica» con interpretazioni teologiche della pandemia e del suo «superamento» etico-affermativo. A questo riguardo il teologo Markus Striet ha affrontato la cosiddetta questione della teodicea. Qui si dimostra ancora una volta la miseria di una teologia che si riallaccia affermativamente all'Illuminismo e al suo pathos di libertà. Non è un caso che il suo punto di riferimento centrale sia la ragione pratica di Kant. Nell'agire morale il soggetto va incontro alla pretesa incondizionata di agire moralmente. Essa deriva da una ragione che è autonoma rispetto alla natura e alle catene causali dell'azione. Tale incondizionatezza dell'obbligo morale è collegata alla libertà di scegliere, alla libertà di volere. Il dovere e la libertà si fondano «al di là» delle determinazioni di contenuto storico-temporali. Per i teologi, la «ragione pratica» è attraente perché Dio, bandito dalla ragione pura metafisica, viene utilizzato come postulato dell'azione morale. Senza di lui, in assenza di un'autorità giudicante che premi le buone azioni e sanzioni quelle cattive, tutta l'etica crollerebbe. Solo così possono unirsi moralità e beatitudine mentre Dio riceve misericordia, perlomeno come «tappabuchi», di fronte al tribunale di Kant. I teologi avvertono la possibilità di avere voce in capitolo «al culmine del tempo», ma evitano di parlare di ciò di cui «è giunto il tempo»: la critica categoriale del capitalismo e alle sue condizioni di crisi, che stanno causando sofferenza e morte a sempre più persone. La pandemia ha aggravato tutto questo. Un'etica orientata a Kant o una teologia ad essa collegata non è praticamente in grado di comprenderlo. La loro miseria consiste nella fondazione del pensiero in forme pure. Pertanto le condizioni da criticare vengono presupposte come 'normalità' affermata. La teologia si limita alla "prestazione" che le è stata assegnata: un ausilio nell'affrontare i problemi dell'esistenza in relazione al mondo così com'è. L'alternativa sarebbe una teologia critica della società, intrinsecamente correlata alla teoria sociale critica.

Di Robert Kurz è stato ripubblicato un testo dei primi anni Novanta «L' intelligenza dopo la lotta di classe - dalla de-concettualizzazione alla de-accademizzazione della teoria»12, integrato da una postfazione di Roswitha Scholz.

Infine, Andreas Urban e F. Alexander von Uhnrast ci forniscono una recensione critica dettagliata del libro di Eske Bockelmann Das Geld - Was es ist, das uns beherrscht [Il denaro – cos’è ciò che ci domina] (Matthes & Seitz, Berlino 2020).

Anche quest’anno invitiamo tutti gli interessati di Exit a sostenere con le loro donazioni la nostra «prassi teorica». Sarebbe opportuno che i nostri lettori, se non lo hanno ancora fatto, si abbonassero a Exit! per contribuire, anche in questo modo, alla sicurezza materiale della pubblicazione. Sono tempi decisamente difficili per la riflessione teorica. E la pandemia non ha cambiato la situazione, anzi! Ma rassegnazione e disfattismo non sono un'opzione. Pertanto, auspichiamo sinceramente un sostegno in questo senso per contribuire al rispecchiamento di questa società impazzita.

Dobiamo infine citare alcune pubblicazioni. Sono uscite nuove edizioni di Der Kollaps der Modernisierung – Vom Zusammenbruch des Kasernensozialismus zur Krise der Weltökonomie [Il collasso della modernizzazione – dal crollo del socialismo da caserma alla crisi dell’economia mondiale] (Edizione Tiamat) e Weltordnungskrieg – Das Ende der Souveränität und die Wandlungen des Imperialismus im Zeitalter der Globalisierung Weltordnungskrieg – Das Ende der Souveränität und die Wandlungen des Imperialismus im Zeitalter der Globalisierung [La guerra dell’ordine mondiale – La fine della sovranità e le trasformazioni dell’imperialismo nell’era della globalizzazione] (per Klampe), entrambi di Robert Kurz. Alcuni saggi di Robert Kurz (Il collasso della modernizzazione, Ragione sanguinaria e Il feticcio della lotta di classe13, scritto con Ernst Lohoff) sono stati pubblicati in traduzione francese da Crise & Critique: L'effondrement de la modernization - De l'écroulement du socialisme de caserne à la crise du marché mondial , Raison sanglante - Essais pour una critica emancipatrice de la modernità capitalista et les lumières bourgeoises e Le Fétiche de la lutte des classes - Thèses pour une démythologisation du marxisme. Così come Le Brésil dans la crise du capital au XXIe siècle (versione tedesca in Exit! 18, pubblicato per la prima volta in edizione online portoghese su obeco.planetaclix.pt).

Un’antologia di testi di Roswitha Scholz è stata pubblicata in spagnolo: Capital y patriarcado – La escisión del valor [Capitale e patriarcato – La dissociazione del valore], a cura di Clara Navarro Ruiz14 (Ediciones Mimesis, Santiago del Cile); sono stati pubblicati inoltre il saggio di Thomas Meyer Aspekten des neuen Rechtsradikalismus und der totalitäre Demokratie [Aspetti del nuovo radicalismo di destra e della democrazia totalitaria] in greco sulla rivista Πανοπτικόν n. 27 (panopticon.gr) e di Herbert Böttcher Emanzipation durch Befreiung der Arbeit vom Kapital? – Kritik der positiven Bewertung der Arbeit in theologischem Denken [Emancipazione attraverso la liberazione del lavoro dal capitale? - Critica della valutazione positiva del lavoro nel pensiero teologico] in: Theologie und Glaube 1/2021 e Kapitalismus – Religion – Kirche – Theologie [Capitalismo - Religione - Chiesa – Teologia] in: Füssel, Kuno & Ramminger, Michael (a cura di), Kapitalismus: Kult einer tödlichen Verschuldung – Walter Benjamins prophetische Erbe [Capitalismo: Culto di un debito fatale - L'eredità profetica di Walter Benjamin], Münster 2021.

Nel suo recente libro Le mur énergétique du capital (Il muro energetico del capitale), Sandrine Aumercier critica la nozione di «sviluppo delle forze produttive». L'autrice vi individua una moderna metafisica del progresso, riproposta da liberali e neoliberisti, oltre che da tutto il pensiero marxista tradizionale. Residui di questo pensiero sono ancora presenti anche in alcuni autori della critica del valore, nella misura in cui fanno leva sulla appropriazione di ritrovati recenti (come, ad. es., le cosiddette «energie rinnovabili» o la stampante 3D) senza criticare le condizioni capitalistiche di produzione e le infrastrutture statali, economiche, sociali, che sono il presupposto originario di tali innovazioni. La morale dell'efficienza energetica, della scarsità, dell'ottimizzazione e della sobrietà è precisamente parte di questa forma-soggetto, plasmata sul modello della crescita illimitata. Nel suo libro Aumercier torna all'analisi di Marx della composizione organica del capitale, per illustrare soprattutto lo stretto rapporto tra uno sviluppo tecnologico sempre più sfrenato e il capitalismo industriale, che consiste nella sostituzione del lavoro vivo con il lavoro morto alla ricerca frenetica di un plusvalore sempre più latitante. Quindi la domanda chiave è come potrebbe sopravvivere il lavoro morto senza il lavoro vivo. La scomparsa del lavoro vivo è da intendersi come la scomparsa del lavoro produttivo nel suo insieme. La dinamica storica di questa sostituzione evidenzia sia l'impossibilità del suo disaccoppiamento (nella prospettiva del post-capitalismo) sia la specificità della crisi energetica insita nello sviluppo del capitalismo. Tale analisi mostra quindi quanto sia inconsistente mirare all'abolizione delle categorie capitalistiche (lavoro, denaro, stato, merci) senza criticare al tempo stesso la produzione industriale, resa possibile solo dalla costituzione di queste categorie.

Thomas Meyer per Exit! - novembre 2021


  1. Lo si vede particolarmente bene nelle «visioni del futuro» dei transumanisti, cfr Meyer, Thomas: Transhumanismus als Rassenhygiene von heute – Zwischen Selbstvernichtung und technokratischem Machbarkeitswahn [Transumanismo come odierna igiene razziale – tra autodistruzione e delirio di potenza], 2020, online: https://www.oekumenisches-netz.de/wp-content/uploads/2020/02/nt-2020-1.pdf.↩︎

  2. Com'è imbarazzante che parti della sinistra tedesca siano piuttosto positive sul regime cinese: Heinelt, Peer: Der große Sprung in der Schüssel [La grossa crepa nella cesta], in: Konkret 10/2021.↩︎

  3. Prendiamo, ad esempio, l'opuscolo di propaganda Smart City Charta – Progettazione sostenibile della trasformazione digitale nei comuni (che si trova su bmi.bund.de). A pagina 43 si legge: "Poiché noi [noi chi?] sappiamo esattamente cosa fanno e cosa vogliono le persone, c'è meno bisogno di elezioni, maggioranze politiche o votazioni. I dati comportamentali possono sostituire la democrazia come sistema di feedback sociale (!)«. Non sarebbe un caso buono per la cosiddetta ›difesa della costituzione‹? Vedi anche la seguente pagina di propaganda del Ministero federale dell'istruzione e della ricerca (https://www.vorausschau.de/vorausschau/de/home/home_node.html). Un ›ufficio del futuro‹ cerca di esplorare i possibili futuri. Naturalmente privo di ogni critica del presente e per nulla inteso come monito. Gli autori delineano queste possibilità future con un'ingenuità che lascia senza parole. In tutta serietà, un sistema a punti basato sul modello del regime cinese è ritratto positivamente: »Un sistema a punti come strumento di controllo politico centrale (!) determina la Germania negli anni 2030. Nonostante una base volontaria e regole democratiche [che ci sarebbero?], si genera una pressione sociale verso la partecipazione (!), ad esempio attraverso una competizione costante (!) nelle reti sociali«. Sebbene alquanto controverso, questo regime puntuale sarà approvato dalla "grande maggioranza negli anni '30". Inoltre, per quanto riguarda il cambiamento climatico, si rende trasparente il principio "chi inquina paga" (ossia le abitudini di consumo individuali), si registra il potenziale di qualificazione e si organizza in modo efficiente la mobilità spaziale della forza lavoro. In questo modo, tutto può continuare come al solito in modo capitalista in futuro.↩︎

  4. Si veda, ad esempio, sulla Grecia: Der Staat ergreift die Gelegenheit [Lo stato coglie l'opportunità], in: Wildcat, 107 (primavera/2021).↩︎

  5. Vedi: Trojanow, Ilija; Zeh, luglio: Angriff auf die Freiheit – Sicherheitswahn, Überwachungsstaat und der Abbau bürgerlicher Rechte [Attacco alla libertà - ossessione per la sicurezza, lo Stato della sorveglianza e lo smantellamento dei diritti civili], Monaco di Baviera, 2010.↩︎

  6. Il quotidiano di sinistra Junge Welt è sotto osservazione da parte dell’Ufficio Federale per la Difesa della Costituzione perché afferma che la Germania è una società di classe e perché fa riferimento a Marx, Engels e altri. Ora, per quanto si possa giustamente argomentare contro il marxismo (residuo) del movimento operaio, il punto cruciale qui è che lo "Stato di diritto borghese" non fa neppure più ipocritamente finta che conflitti e interessi diversi possano essere risolvibili o, più in generale, tollerabili nel quadro dello "ordine liberal-democratico". Affrontare la disuguaglianza sociale e identificare una discrepanza tra l'ideale e la realtà sono apparentemente sufficienti per essere considerati un "nemico della Costituzione". Vedi Junge Welt del 7 maggio 2021: https://www.jungewelt.de/keinmarxistillegal/de/article/402169.doppelte-standards.html.↩︎

  7. Cfr. Kurz, Robert: Schwarzbuch Kapitalismus – Ein Abgesang auf die Marktwirtschaft [Il Libro nero del capitalismo - Addio all'economia di mercato , Francoforte 1999, 218.↩︎

  8. Non sorprende che la brutalizzazione generale sia propagata anche dalle «elite» del settore sanitario. Ad esempio, da Karsten Vilmar, presidente dell'Associazione medica, che nel 1998 ha ipotizzato che «la morte prematura socialmente accettabile (!) dovrebbe essere promossa» per motivi di costi, citato da Schui, Herbert: Politische Mythen & elitäre Menschenfeindlichkeit – Halten Ruhe und Ordnung die Gesellschaft zusammen? [Miti politici e misantropia elitaria – Pace e ordine tengono unita la società?], Amburgo 2014, 61.↩︎

  9. Cfr. Kurz, Robert: Das Weltkapital – Globalisierung und innere Schranken des modernen warenproduzierenden Systems [Il capitale-mondo - Globalizzazione e limiti interni del moderno sistema di produzione di merci] , Berlino 2005, p. 345.↩︎

  10. Pubblicati finora (su exit! e Ökumenisches Netz): Economia del bene comune (Dominic Kloos), Reddito di base incondizionato (Günther Salz), Buen Vivir e Movimento della post-crescita e commons (Thomas Meyer). È assai probabile che seguiranno altri articoli.↩︎

  11. Vedi Böttcher, Herbert: Kapitalismuskritik und Theologie – Versuch eines Gesprächs zwischen wert-abspaltungskritischem und theologischem Denken [Critica del capitalismo e teologia - tentativo di dialogo tra pensiero della critica del valore/dissociazione e pensiero teologico], in: Ökumenisches Netz, Rhein-Mosel-Saar (a cura di): Nein zum Kapitalismus, aber wie? – Unterschiedliche Ansätze von Kapitalismuskritik [No al capitalismo, ma come? – Differenti approcci alla critica del capitalismo], 2° ed., Coblenza 2015, 117–163.↩︎

  12. Pubblicato per la prima volta in: Widerspruch [Contraddizione] – Münchner Zeitschrift für Philosophie Contradiction, 22, Monaco di Baviera 1992, 11-26. Ripubblicato in: Kurz, Robert: Der Letzte macht das Licht aus – Zur Krise von Demokratie und Marktwirtschaft [L'ultimo spenga la luce - Sulla crisi della democrazia e dell'economia di mercato], Berlino 1993, 37- 57 .↩︎

  13. Su questo punto vedi anche Scholz, Roswitha: It’s the class, stupid? Deklassierung, Degradierung und die Renaissance des Klassenbegriffs [È la classe, stupido? Declassamento, degradazione e rinascita della lotta di classe], 2020, auf exit-online.org.↩︎

  14. Cfr. l'intervista di Clara Navarro Ruiz a Roswitha Scholz, 2017, su exit-online.org.↩︎




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